Quando ho visto per la prima volta il cortometraggio “C’hai 5”, presentato al Festival dei Tulipani di Seta Nera, è stato come guardarmi allo specchio. La storia della protagonista, una ragazza che a 16 anni deve rinunciare ai propri sogni per colpa di una grave malattia renale, mi ha riportato indietro nel tempo, a quando io stesso, alla sua stessa età, ho dovuto affrontare un trapianto di rene che mi ha cambiato la vita.
Sandra, interpretata da una bravissima Marta Gagliardi, scopre all’improvviso che i suoi reni hanno smesso di funzionare. Da un giorno all’altro, si ritrova costretta alla dialisi, una terapia salvavita ma logorante, che la lega a una macchina per ore e ore, sottraendole il tempo per la scuola, lo sport, le amicizie. Le vengono imposte rinunce su rinunce: non può più bere liberamente, deve stare attenta al cibo, ai viaggi, a ogni minimo sbalzo di salute.
È uno scenario che conosco fin troppo bene. Anche se io non ho dovuto fare la dialisi, so cosa significa veder crollare tutti i tuoi progetti per colpa di un organo che si ammala. Ho sperimentato sulla mia pelle il calvario delle terapie, la lotta quotidiana con gli effetti collaterali dei farmaci, la fatica di doversi reinventare un’identità al di là della malattia.
Il corto, diretto magistralmente da Daniele Falleri e promosso con passione dalla Onlus Liberitutti, ha il grande merito di portare questa realtà poco conosciuta sotto i riflettori. Lo fa con delicatezza ma anche con un realismo chirurgico, senza indorare la pillola. Gli attori del calibro di Maria Grazia Cucinotta e Gabriel Garko, che interpretano rispettivamente una dottoressa impegnata nella ricerca e il padre della ragazza, danno spessore e intensità alla narrazione, rendendola ancora più toccante ed efficace.
Ma ciò che più mi ha colpito è il messaggio finale. Sandra, ormai adulta, dopo aver ricevuto il trapianto di rene torna in ospedale nelle vesti di medico e ricercatrice, decisa a trovare una cura definitiva per la malattia che l’ha segnata. Il suo obiettivo è il rene bionico, un organo artificiale che possa liberare i pazienti dalla schiavitù della dialisi e dal limbo di un trapianto che non è per sempre.
Ecco, questo è il punto fondamentale che vorrei far arrivare a tutti: nonostante noi pazienti ci impegniamo ogni giorno per rendere migliore la nostra vita, la realtà è che le terapie per le malattie renali, dalla dialisi al trapianto, non hanno fatto significativi passi avanti da troppi anni. È vero, il trapianto ti salva la vita e ti regala del tempo prezioso, ma non è una soluzione definitiva che cancella la malattia una volta per tutte. Devi comunque convivere per sempre con una condizione di fragilità, con il pensiero che il rene donato prima o poi cederà.
È proprio per questo che dobbiamo continuare a lottare, a non accontentarci, a pretendere che la ricerca scientifica vada avanti. Il cortometraggio ha il grande merito di mostrare questa realtà senza filtri, con un realismo che tocca il cuore. E lancia un messaggio di speranza: se ci impegniamo tutti, se sosteniamo concretamente gli scienziati che studiano soluzioni innovative come il rene bionico, possiamo davvero cambiare le cose.
Gli studi pioneristici di ricercatori come l’americano Shuvo Roy, citato dalla protagonista, rappresentano una luce in fondo al tunnel. Un organo artificiale che possa sostituire completamente quello malato, senza bisogno di immunosoppressori, sarebbe davvero una svolta epocale. Significherebbe per noi pazienti riappropriarci della libertà, dei sogni, della progettualità che la malattia ci ha sottratto.
Il mio appello accorato, quindi, è quello di non voltarsi dall’altra parte davanti alla sofferenza di chi lotta contro le malattie renali. Di informarsi, di sensibilizzarsi, ma soprattutto di sostenere attivamente la ricerca scientifica, come cerca di fare la onlus che ha voluto fortemente questo cortometraggio. Solo così possiamo alimentare la speranza concreta di un futuro migliore, in cui nessun giovane debba più rinunciare ai propri sogni per colpa di un paio di reni che si ammalano.
Personalmente, sogno un domani in cui la scienza possa offrire soluzioni sempre più efficaci e risolutive. Il rene bionico non è più solo fantascienza, può diventare realtà se ci crediamo e lavoriamo tutti insieme per raggiungerlo.
Sosteniamo la ricerca, per noi e per chi verrà dopo di noi. Rendiamo onore a storie come quella di “C’hai 5”, che hanno il coraggio di mostrare la verità e indicare la strada. Facciamolo per Sandra, per me, per tutti coloro che non smettono di sperare e lottare nonostante tutto. Insieme possiamo farcela, un passo alla volta verso la libertà che meritiamo